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 [Puglia]
REFERENDUM TRIVELLE: EMILIANO SU NOTA GUERINI-SERRACCHIANI

giovedì 17 marzo 2016


Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, con riferimento alla nota firmata da Guerini e Serracchiani (Pd) dichiara:
"Mi corre l'obbligo di rispondere con fraterna sincerità al comunicato dei due vice segretari del Partito Democratico sulla vicenda referendaria.
I primi a voler evitare il referendum sulle trivellazioni petrolifere in Adriatico e nello Ionio sono stati i presidenti delle regioni referendarie che delegarono il sottoscritto e il presidente della Basilicata Pittella a chiedere al governo, nella persona del sottosegretario Vicari, un incontro tra Regioni e Governo sulla materia delle trivellazioni, che aveva scatenato l'ira popolare di sindaci, cittadini, operatori turistici e determinato la presa di posizione di molti esponenti della stessa Chiesa Cattolica a seguito della Enciclica di Papa Francesco Laudato Si'.
Durante questo incontro, svoltosi nell'agosto del 2015 il sottosegretario con grande gentilezza prese atto delle nostre rimostranze di fronte al gran numero di permessi di prospezione di ricerca di idrocarburi nello Ionio e nell'Adriatico e si impegnò a convocarci entro la settimana successiva per definire il da farsi.
Lo stesso sottosegretario Vicari dopo qualche tempo ci comunicò che il governo non aveva interesse a effettuare l'incontro con le Regioni.
Fu solo tale decisione a indurre a malincuore molte regioni italiane governate dal Pd a richiedere il referendum sulle norme del cosiddetto Sblocca Italia che rendevano l'attività di ricerca ed estrazione petrolifera più facile e libera da qualunque intesa con le Regioni.
Fu solo a causa di questa porta inutilmente sbattuta in faccia a tante Regioni che hanno investito per anni nella tutela del mare, che i Consigli Regionali sono stati costretti a richiedere un referendum contro una legge dello Stato per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana.
Il referendum è stato chiesto su sei quesiti che intendevano abrogare altrettante norme dello Sblocca Italia che escludevano o limitavano il ruolo delle Regioni nella materia della ricerca e dello sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi.
Per cinque di questi quesiti referendari il Governo ha dovuto ammettere di avere commesso un errore e nella legge di stabilità ha fatto marcia indietro dando ragione alle Regioni.
Sul sesto quesito invece il governo non è riuscito a fare la stessa cosa.
E la Cassazione prima e la Corte Costituzionale dopo hanno dovuto ammettere il referendum nonostante il governo avesse tentato di evitarlo.
A questo punto le Regioni non avevano più alcuna possibilità giuridica di evitare il referendum.
È dunque sbagliata e ingiusta la posizione espressa dai vice segretari del Partito che addebita ai promotori del referendum la responsabilità per le spese del referendum.
Per due ordini di motivi: il primo, evidente a tutti, perché se il Governo avesse voluto discutere la materia con la Regioni avremmo potuto certamente evitare il referendum sin dall'inizio.
La seconda perché non è  certo colpa delle Regioni se il governo non è tecnicamente riuscito a neutralizzare con il suo intervento legislativo anche il sesto quesito sopravvissuto.
Che peraltro le regioni a quel punto non avevano il potere costituzionale di ritirare.
Ma questo argomento deve assolutamente essere evitato da parte dei vice segretari anche perché, per evitare i costi del referendum, il sistema c'era ancora e consisteva nell'indirlo nella stessa data delle elezioni amministrative. Addolora molto tutte le Regioni governate dal Pd che il nostro stesso partito sia così disinformato e facile a propalare luoghi comuni come fossero verità assiomatiche.
Non ci pare uno stile degno di un grande partito democratico leader della sinistra europea.
Altrettanto falsa è la rappresentazione che l'eventuale accoglimento del quesito referendario superstite  determinerebbe dei licenziamenti.
Per il vero ho sentito questa affermazione erronea anche dal Segretario nazionale del partito durante una lezione alla scuola di formazione politica del Pd. 
Se ritornasse in vigore la norma precedente  (legge 9/91) che non ha mai determinato licenziamenti, il permesso di estrazione degli idrocarburi durerebbe 30 anni, prorogabili per 10 anni e poi all'infinito di 5 anni in 5 anni senza alcuna interruzione della attività estrattiva.
Questo sistema prevedeva processi di verifica e controllo assai migliori dell'attuale normativa (Sblocca Italia) che consente al concessionario di fare quel che gli pare fino alla fine della vita del giacimento e quindi senza limite alcuno.
Norma veramente assurda.
Rattrista pensare che tutto questo che ho rappresentato possa diventare irrilevante o falso solo perché la maggioranza del Pd - alla quale appartengo essendo stato uno dei sostenitori della attuale Segreteria - lunedì voterà a schiacciante maggioranza in direzione, senza nemmeno aver inserito il punto all'ordine del giorno  (avremmo potuto farlo in assemblea solo pochi giorni fa) per sanare la posizione di astensione del Pd nel referendum del 17 aprile improvvidamente anticipata.
Posizione anch'essa strumentale perché il vero scopo è impedire ad ogni costo il raggiungimento del  quorum e negare alla maggioranza del popolo italiano il 17 aprile di ripristinare le norme precedentemente in vigore che, evidentemente, non dovevano essere così assurde e demagogiche, se è vero che applicando queste ultime sono state avviate e svolte con utile gestione tutte le coltivazioni di idrocarburi attualmente in atto in Italia.
Stasera non sono contento del mio partito e del panico in cui cade troppo spesso nei casi in cui la coscienza si divide dalla verità".