Sul fronte delle ricerche gas petrolifere è GRAVE la SITUAZIONE in Italia e nel Sud in particolare...
RICEVIAMO DA "ECOLOGISTI CATANIA" E PUBBLICHIAMO
COLABRODO ITALIA
Al momento, oltre alle 66 concessioni di estrazione petrolifera offshore con pozzi già attivi, sono in vigore 24 permessi di esplorazione offshore, soprattutto nel medio e basso Adriatico (Abruzzo, Marche, Puglia) e nel Canale di Sicilia. L'area delle esplorazioni supera gli 11.000 kmq, una superficie assai maggiore di quella che attualmente ospita pozzi operativi (poco meno di 9.000 kmq). Ci sono poi moltissime altre aree in cui si richiede l'autorizzazione per esplorazioni petrolifere: le mappe del Ministero dello Sviluppo Economico dimostrano un'esplosione di richieste di trivellazioni esplorative soprattutto al largo di Abruzzo, Marche, Puglia, Calabria (versante ionico) e nel Canale di Sicilia. La superficie complessiva non è nota, ma si può stimare che sia almeno il doppio di quella in cui le ricerche sono già state autorizzate.
In Italia, inoltre, oltre a royalties molto più basse, non si paga alcuna imposta per i primi 300.000 barili di petrolio all'anno: oltre 800 barili (o 50.000 litri) di petrolio gratis al giorno.
Le attività esplorative sono effettuate o richieste da imprese ben note, come ENI, EDISON e SHELL, ma anche da imprese minuscole, anche con soli 10.000 euro di capitale sociale: in caso di incidente non potrebbero noleggiare nessun mezzo idoneo a raccogliere il petrolio!
Eppure le royalties sulle concessioni di estrazione vanno dal 4% al 7 %, contro l’80% di Norvegia e il 90% in Libia. In pratica né lo Stato centrale né le comunità locali beneficiano dei proventi dell'attività estrattiva; in compenso queste ultime sono costrette a sopportarne i costi ambientali.
Su 59 società che nel 2010 operavano in Italia, solo 5 avevano pagato il canone: ENI, Shell, Edison, Gas Plus Italiana ed ENI/Mediterranea idrocarburi. Apprendiamo inoltre che al 2011 sono 82 le istanze di permesso di ricerca e i permessi di ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi offshore (74 dei quali nelle regioni del Centro-Sud, 39 nella sola Sicilia) presentati al Ministero dello Sviluppo economico. Sono invece 204 le istanze di ricerca e i permessi di ricerca onshore. La possibilità di perforare a 5 miglia dalla costa rende l’eventualità di un disastro ambientale una terribile minaccia incombente. Già adesso il nostro specchio d'acqua vanta il triste primato mondiale per la concentrazione di catrame in mare aperto Analogo discorso vale per gli Appennini, dove le companies americane si contendono il diritto a trivellare, nonostante la ferma opposizione dei sindaci locali. Per non parlare della Basilicata, devastata dai petrolieri e ricompensata a suon d'elemosina.
Il petrolio inoltre è localizzato in territori densamente urbanizzati e nei nostri mari, vicino a coste e specchi d’acqua marina di alto pregio ambientale con il rischio che al momento in cui si verifichi un incidente, come è avvenuto nel golfo del Messico nell’aprile 2010, anche infinitamente meno grave, date le diversità, gli impatti per l’ambiente dureranno per decenni se non centinaia di anni con conseguenze teratogene, mutagene e cancerogene sugli esseri viventi.
Decine di pozzi di petrolio nel blu del Mediterraneo, per fermare le trivelle si sono mobilitati cittadini e comitati. Ma intorno alla Sicilia pendono 40 richieste di concessioni. Le trivelle sono pronte a entrare in azione a pochi chilometri da gioielli come Pantelleria e le Egadi. ECOLOGISTI CATANIA
Le attività esplorative sono effettuate o richieste da imprese ben note, come ENI, EDISON e SHELL, ma anche da imprese minuscole, anche con soli 10.000 euro di capitale sociale: in caso di incidente non potrebbero noleggiare nessun mezzo idoneo a raccogliere il petrolio!
Eppure le royalties sulle concessioni di estrazione vanno dal 4% al 7 %, contro l’80% di Norvegia e il 90% in Libia. In pratica né lo Stato centrale né le comunità locali beneficiano dei proventi dell'attività estrattiva; in compenso queste ultime sono costrette a sopportarne i costi ambientali.
Su 59 società che nel 2010 operavano in Italia, solo 5 avevano pagato il canone: ENI, Shell, Edison, Gas Plus Italiana ed ENI/Mediterranea idrocarburi. Apprendiamo inoltre che al 2011 sono 82 le istanze di permesso di ricerca e i permessi di ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi offshore (74 dei quali nelle regioni del Centro-Sud, 39 nella sola Sicilia) presentati al Ministero dello Sviluppo economico. Sono invece 204 le istanze di ricerca e i permessi di ricerca onshore. La possibilità di perforare a 5 miglia dalla costa rende l’eventualità di un disastro ambientale una terribile minaccia incombente. Già adesso il nostro specchio d'acqua vanta il triste primato mondiale per la concentrazione di catrame in mare aperto Analogo discorso vale per gli Appennini, dove le companies americane si contendono il diritto a trivellare, nonostante la ferma opposizione dei sindaci locali. Per non parlare della Basilicata, devastata dai petrolieri e ricompensata a suon d'elemosina.
Il petrolio inoltre è localizzato in territori densamente urbanizzati e nei nostri mari, vicino a coste e specchi d’acqua marina di alto pregio ambientale con il rischio che al momento in cui si verifichi un incidente, come è avvenuto nel golfo del Messico nell’aprile 2010, anche infinitamente meno grave, date le diversità, gli impatti per l’ambiente dureranno per decenni se non centinaia di anni con conseguenze teratogene, mutagene e cancerogene sugli esseri viventi.
Decine di pozzi di petrolio nel blu del Mediterraneo, per fermare le trivelle si sono mobilitati cittadini e comitati. Ma intorno alla Sicilia pendono 40 richieste di concessioni. Le trivelle sono pronte a entrare in azione a pochi chilometri da gioielli come Pantelleria e le Egadi. ECOLOGISTI CATANIA
i profitti ci sono pero sotto banco e per qualcuno.
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